Per ptosi palpebrale si intende un patologico abbassamento della palpebra superiore, mono o bilaterale, conseguente ad anomalie congenite o acquisite del m. elevatore della palpebra o del m. di Muller. Tale condizione si manifesta con l’impossibilità nel sollevare la palpebra superiore accompagnata ad una restrizione della rima palpebrale; in condizioni fisiologiche, infatti, il margine palpebrale superiore sopravanza il limbus corneale di circa 1-2 mm e l’ampiezza della rima palpebrale è di circa 9-10 mm.
La ptosi va distinta in forme congenite e acquisite ed in base al grado di abbassamento in ptosi lieve, se non supera i 2 mm, media se compreso tra 3-4 mm, grave se superiore a 4 mm.
Le forme congenite sono essenzialmente dovute ad uno sviluppo anomalo del muscolo elevatore della palpebra o ad un’ inadeguata migrazione neuronale; esse possono inoltre presentarsi in circa il 20% dei neonati con sindrome alcolica fetale.
Le forme acquisite, invece, possono essere suddivise in base alla causa in:
Ptosi miogena: secondaria ad una miopatia a carico del muscolo elevatore della palpebra superiore o ad un difetto della trasmissione degli stimoli nervosi a livello della placca neuromuscolare. In alcune patologie quali ad esempio la distrofia miotonica, l’oftalmoplegia esterna progressiva e la miastenia gravis, la ptosi spesso rappresenta la manifestazione d’esordio.
Ptosi neurogena:legata a deficit dell’ innervazione quale quella che si verifica nella paralisi dell’oculomotore (da cause vascolari, neoplastiche, tossiche o flogistiche) o del simpatico per interessamento del m. di Muller. La forma simpatica, abbastanza rara, di solito rientra nell’ ambito della sindrome di Bernard-Horner ( miosi-ptosi-enoftalmo).
Ptosi aponeurotica: dovuta ad indebolimento, deiscenza o disinserzione dell’ aponeurosi del muscolo elevatore della palpebra, di più frequente riscontro negli anziani o a seguito di traumi o come complicanza di un intervanto di blefaroplastica.
Ptosi meccanica o Pseudoptosi: legata ad un incongruo rapporto tra palpebra superiore e bulbo oculare, come accade nel microftalmo, nell’enoftalmo e nella tisi bulbare, oppure ad un aumento di peso della palpebra superiore, come in caso di flogosi, edema, neoplasie, blefarocalasi. Può verificarsi una pseudoptosi transitoria post-blefaroplastica, per alterazione neuromuscolare provocata dall’anestesia o dallo stesso trauma chirurgico.
La ptosi palpebrale può anche far seguito ad interventi chirurgici di cataratta, in modo particolare quando viene utilizzata la tecnica extracapsulare rispetto alla focoemulsificazione, sebbene i meccanismi che ne sono alla base risultino ancora poco chiari.
Questa patologia può inoltre insorgere come complicanza dell’anestesia del nervo alveolare inferiore, ramo del nervo mandibolare, insieme ad amaurosi, oftalmoplegia e midriasi.
Ai fini diagnosticiè di fondamentale importanza la raccolta dei dati anamnestici valutando la familiarità, l’età di insorgenza e la durata della ptosi, la presenza di altre patologie oculari e generali nonché l’assunzione di farmaci.
Il grado della ptosipuò essere quantificato valutando la distanza margine-riflesso (tra margine della palpebra superiore ed il riflesso corneale prodotto da una lampadina), l’altezza della fessura palpebrale e la differenza di altezza tra i due bordi palpebrali superiori, se la ptosi è monolaterale, calcolando la distanza verticale tra la linea orizzontale tracciata 2 mm inferiormente dal limbus corneale ed il bordo libero della palpebra superiore.
La funzionalità dell’elevatore viene valutata misurando l’escursione che il bordo libero della palpebra superiore compie dallo sguardo verso il basso a quello verso l’alto, mantenendo fermo il muscolo frontale mediante una compressione del sopracciglio. Solitamente l’escursione è considerata normale se >15 mm, buona se compresa tra 12 e 14 mm, debole tra 5 e 11 mm, scarsa se al di sotto dei 4 mm.
La scelta della terapia si basa sulla causa e sull’entità della ptosi. Nella miastenia gravis, ad esempio, la terapia è medica e prevede l’ uso degli inibitori dell’ acetilcolinesterasi; nella maggior parte dei casi, invece, la terapia consiste nella correzione chirurgica.
Estremamente varie risultano le tecniche chirurgiche a diposizione per la correzione della ptosi congenita (sospensione del muscolo frontale con fascia lata, trapianto da cadavere, fili di sutura permanenti, resezione del muscolo elevatore nella ptosi media e lieve).
Particolare attenzione bisogna prestare alla correzione chirurgica della ptosi monolaterale per il rischio, osservato nel 10-20% dei pazienti, che si manifesti una retrazione palpebrale controlaterale.
Per ectropion s’intende l’eversione del margine libero palpebrale, prevalentemente di quella inferiore, con conseguente perdita della sua adesione al bulbo oculare, per tutta la sua lunghezza oppure esclusivamente in una porzione ben delimitata. Ciò comporta l’esposizione prolungata della congiuntiva e della cornea all’ aria atmosferica nonchè una mancata lubrificazione dei tessuti oculari stessi. Tali condizioni patologiche determinano un’alterazione anatomopatologica dei tessuti oculari di varia gravità in relazione all’entità dell’ectropion e soprattutto del tempo trascorso dall’insorgenza dei primi sintomi.
Da un punto di vista eziologico distinguiamo l’ectropion congenito, l’ ectropion involutivo legato alla progressiva lassità del tarso e dei legamenti cantali, l’ectropion cicatriziale conseguente ad un accorciamento verticale della cute e dei tessuti palpebrali in caso di cicatrici traumatiche o iatrogene, da herpes zoster, dermatite atopica ed ittiosi, l’ectropion paralitico legato alla perdita di tono del muscolo orbicolare, come si verifica ad esempio nel Morbo di Parkinson o nella paralisi del nervo faciale, nonché in caso di distonia del muscolo orbicolare da anestetico o trauma, cause queste ultime di un ectropion transitorio, l’ ectropion meccanico legato alla presenza di un massa che, per gravità, tira la palpebra verso il basso.
Il quadro clinico risulta piuttosto variegato e tipicamente caratterizzato dall’ impossibilità di ottenere una perfetta chiusura della rima palpebrale (lagoftalmo) ed un profusa lacrimazione (epifora) determinata sia dal mancato drenaggio da parte dei dotti lacrimali, conseguente alla lassità palpebrale, sia da una lacrimazione riflessa legata all’esposizione della congiuntiva bulbare.
Si manifesta, inoltre, con sensazione di corpo estraneo, bruciore, fotofobia fino al manifestarsi di abrasioni corneali ed alterazioni dell’ estetica facciale.
La congiuntiva esposta manifesta, nella quasi totalità dei casi, alterazioni anatomopatologiche consistenti nella cheratinizzazione e nell’edema; il margine palpebrale si presenta generalmente ispessito all’ispezione, soprattutto nei casi di ectropion inveterati. A livello corneale potrà insorgere il quadro di una cheratite puntata e, nei casi più gravi, vere e proprie ulcere.
In base alla gravità, il margine palpebrale può essere interessato lungo tutta la sua estensione, ovvero soltanto in maniera parziale in corrispondenza del canto esterno, della porzione mediale, o ancora del canto interno, determinando in quest’ ultimo caso un’eversione dei punti lacrimali con una più precoce insorgenza di epifora.
La diagnosi, di facile esecuzione, è eminentemente clinica e si realizza attraverso un accurato esame obiettivo.
Il trattamento dell’ectropion della palpebra inferiore si differenzia in base alla gravità ed alla causa, attraverso l’uso di sostituti lacrimali, fino alla correzione chirurgica, con la disponibilità di differenti tecniche, ognuna con le proprie specifiche indicazioni. Tra queste ricordiamo la semplice escissione di masse in caso di ectropion meccanico fino a tecniche più complesse di ricostruzione palpebrale, quali la tecnica della linguetta tarsale, la tecnica di Kuhnt-Szymanowski, la plicatura del tendine cantale (Tarsal Tuck) con sospensione diretta, fino all’allestimento di lembi ed innesti.
Per entropion si intende una rotazione verso l’interno del margine palpebrale. A causa di ciò, le ciglia sono a diretto contatto con la cornea e la congiuntiva. Da un punto di vista eziopatologico è possibile classificare l’entropion in congenito, involutivo, cicatriziale e spastico acuto. L’entropion congenito, piuttosto raro, può coinvolgere sia la palpebra superiore che quella inferiore e generalmente consegue ad una disgenesia del tarso (tarso incurvato). L’ entropion involutivo (correlato all’ età), in assoluto la forma più comune, tipicamente insorge in pazienti anziani coinvolgendo la palpebra inferiore. Diversi fattori possono contribuire alla sua comparsa: la lassità orizzontale della palpebra dovuta all’ allungamento dei tendini cantali e alla degenerazione tarsale, l’instabilità verticale della palpebra conseguente alla deiscenza o disinserzione del retrattore palpebrale inferiore che consente al tarso inferiore di muoversi anteriormente e superiormente, facendo ruotare verso l’ interno il margine palpebrale, lo scivolamento della parte pretarsale sulla parte presettale del muscolo orbicolare durante la chiusura delle palpebre.
L’ entropion cicatriziale consegue, invece, ad un’ importante cicatrizzazione della congiuntiva palpebrale che può verificarsi per fenomeni cicatriziali post-chirurgici, post-traumatici, ustioni chimiche, tracoma, S. di Stevens-Johnson, pemfigoide cicatriziale oculare, acne rosacea e meibomite cronica. Infine, l’entropion spastico acuto sussegue ad un significativo blefarospasmo che può accorrere in diversi stati irritativi oculari (blefarite, allergia, chirurgia della cataratta, chirurgia corneale, ecc.). Tale condizione può insorgere a qualsiasi età e può risolversi nell’ arco di alcune settimane.
Clinicamente il continuo sfregamento delle ciglia sulla cornea ( pseudotrichiasi ) nei pazienti con entropion inveterato può causare irritazione, erosione puntata dell’ epitelio corneale e, nei casi più gravi ulcere e panno corneale. La diagnosi è eminentemente clinica; risulta utile l’esecuzione dello snapback test che consiste nello stiramento della palpebra verso il basso.
Quando quest’ultima viene rilasciata, in condizioni normali, torna rapidamente nella sua posizione di apposizione contro il bulbo; in presenza di entropion, invece, vi è un lento ritorno della palpebra alla sua posizione originale che evidenzia un’ attenuazione tarsale o una lassità del tendine cantale laterale. Risulta utile anche l’ esecuzione del test della distrazione palpebrale che si esegue misurando con un regolo la distanza tra il bulbo e ed il margine palpebrale quando la palpebra viene tirata via anteriormente dal bulbo; una distrazione superiore ai 6 mm dalla cornea risulta anomala.
La diagnosi differenziale va fatta con l’ epiblefaron, affezione congenita delle palpebre inferiori caratterizzato da una spessa plica orizzontale di cute palpebrale e di orbicolare che scavalca il margine spingendo le ciglia indietro verso la cornea; a differenza dell’ entropion, il tarso ed il margine posteriore rimangono in posizione normale. Il trattamento dell’ entropion può essere medico e chirurgico. Il trattamento medico prevede l’ uso di lubrificanti, l’ applicazione di un cerotto oculare, l’ applicazione di una lente a contatto morbida terapeutica, l’ iniezione di tossina botulinica nel muscolo orbicolare che risulta utile nell’ entropion spastico ma potrebbe a sua volta convertire un entropion involutivo o spastico in un ectropion se è presente una significativa lassità della palpebra inferiore. Il trattamento chirurgico si avvale di numerose tecniche che includono la cauterizzazione, suture di eversione, escissione di cute e muscolo, blefarotomia, incisione o splitting tarsale ed escissione dell’ area incurvata. La complicanza più frequente è rappresentata dalla recidiva.
La blefarocalasi è una patologia ereditaria che si manifesta con edemi ricorrenti, della durata di qualche giorno, non dolenti e non improntabili, che progressivamente alterano e separano i tessuti palpebrali. In particolare si riscontra un’ ingravescente ipotonia del muscolo orbicolare, dell’elevatore palpebrale e dei tendini, assieme ad un’atrofia dei tessuti sottocutanei, in tal modo la cute si separa progressivamente dai muscoli, discendo al di sopra delle ciglia in modo tale da ridurre il campo visivo.
La patologia esordisce alla pubertà e con il trascorrere degli anni gli episodi divengono via via meno numerosi.
L’eziologia è ancora in parte sconosciuta, ma analisi istopatologiche indicano che alla base potrebbero svolgere un ruolo rilevante sia un’attività litica a carico delle fibre elastiche, sia le IgA, sia altri processi infiammatori, indicando un probabile processo autoimmune.
Si riconoscono 2 forme di blefarocalasi: atrofica, caratterizzata dal riassorbimento dell’adipe orbitario e ipertrofica, con erniazione dell’adipe orbitario.
La caratteristica, clinica, della blefarocalasi è che la cute palpebrale diviene progressivamente sovrabbondante, atrofica e rugosa tanto da poter essere sollevata in pliche.
Nei casi gravi si può osservare uno stiramento dei tendini cantali e dell’aponeurosi del muscolo elevatore con conseguente ptosi palpebrale.
Nella diagnostica differenziale è importante distinguere questa patologia dall’angioedema e dall’orticaria da farmaci.
La terapia è esclusivamente chirurgica, anche se, alcuni studi, attribuiscono un ruolo alla Doxiciclina nell’ inibire le metalloproteasi della matrice presenti nei tessuti dei pazienti affetti. Ciò comporterebbe un miglioramento del quadro clinico, ma non la sua risoluzione.
Altri studi, inoltre, mostrano come, in fase acuta, la patologia risponda positivamente all’uso di acetazolamide.
La risoluzione del quadro clinico, invece, prevede un intervento di blefaroplastica superiore associato alla correzione dell’eventuale ptosi.
Lo scopo della blefaroplastica superiore è quello di eliminare l’eccesso di tessuto, cutaneo ed adiposo, rimodellando al tempo stesso la piega palpebrale per renderla maggiormente definita e profonda. Se è presente ptosi palpebrale, si provvederà a correggerla, mediante asportazione di una porzione del muscolo elevatore, oppure mediante il rinforzo dell’aponevrosi dell’elevatore, a seconda della gravità del quadro clinico.
La complicanza più temibile di tale procedura, è rappresentata dalla ptosi palpebrale, che, quando presente, inficia sia il risultato estetico che funzionale.