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  • Apr

    08

    2022

DOCUMENTO DI POSIZIONAMENTO DELLA SOI IN MERITO ALL'INTERVENTO DI CATARATTA

 

 

 

Documento di posizionamento della SOI – Società Oftalmologica Italiana – in merito all’intervento di cataratta, redatto in seguito alla proposta di aggiornamento del Decreto Ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera)

Evoluzione delle Tecniche chirurgiche della cataratta e del cristallino dall’introduzione della facoemulsificazione (1967) all’adozione della chirurgia refrattiva della cataratta e del cristallino (2022) che permette la correzione dei difetti di vista e della presbiopia eliminando la dipendenza da occhiali o lenti a contatto

 

La chirurgia della cataratta, già nota ai tempi dei faraoni, si è sviluppata nel corso dei millenni attraverso l’utilizzo di tecnologie semplici, che non prevedevano la protezione dei pazienti né tecniche di anestesia.

Anche in Italia è stata prassi fino al 1950 effettuare l’intervento a casa del paziente, sul tavolo da cucina, posizionando la testa vicino alla finestra. Cosa oggi improponibile e inattuabile.

Nel 1967 Charles Kelman ha introdotto la tecnica della facoemulsificazione, utilizzata in tutto il mondo per effettuare la moderna chirurgia della cataratta e del cristallino.

Da allora sono state abbandonate diverse tecniche chirurgiche, quali l’intracapsulare e l’extracapsulare, che oggi non fanno più parte del bagaglio di esperienza e di conoscenza dei chirurghi oculisti delle ultime generazioni, pur rimanendo tecniche indispensabili per la gestione dei casi complessi. In particolare, l’affermazione della facoemulsificazione si è basata sulla possibilità di effettuare un’incisione chirurgica autosigillante delle dimensioni di appena 2 millimetri, priva di punti di sutura, che permette l’immediata mobilizzazione postoperatoria del paziente, da contrapporre all’apertura dell’occhio di 180° (equivalenti a 15 millimetri di apertura poi chiusa da 6 punti di sutura in nylon 10 zeri) propria della tecnica intracapsulare e extracapsulare che obbligava a un ricovero in immobilizzazione di 7 giorni.

È necessario evidenziare che la percentuale di complicazioni intraoperatorie è proporzionata allo stato di maturazione avanzata e di durezza della cataratta. A causa dell’elevato numero di complicazioni intraoperatorie (80%) che si osservavano con le vecchie tecniche chirurgiche, fino agli anni 80 l’intervento di cataratta veniva posticipato fino alla totale perdita della vista. In questo modo si otteneva una cataratta dura e compatta che poteva essere rimossa con un’unica manovra senza lasciare pezzi residui all’interno dell’occhio. Inoltre non veniva impiantato il cristallino artificiale. Successivamente la facoemulsificazione ha ribaltato il modus operandi, prevedendo la frammentazione della cataratta all’interno dell’occhio, con notevoli vantaggi ed un aumento del controllo dell’intervento quando la cataratta è allo stato iniziale, “morbida”, meno voluminosa e non matura. Pertanto, effettuare l’intervento con cataratta iniziale senza compromissione della vista riduce le complicazioni intraoperatorie a un eccezionale 1%. I nuovi modelli organizzativi, capaci di integrare nuove tecniche chirurgiche con nuove tecnologie diagnostiche preoperatorie, unitamente all’impiego di dispostivi chirurgici digitali più avanzati, hanno determinato negli ultimi 20 anni uno straordinario miglioramento del controllo dell’intervento e della sicurezza di esecuzione, riducendo, in condizioni ideali, le complicazioni intraoperatorie a rischio di perdita della vista e facendo percepire l’intervento come più affidabile e sicuro. Per questo negli Stati Uniti d’America, diversamente che in Italia, l’età media dei pazienti che si sottopongono all’intervento si è abbassata a 63 anni. A questo si è aggiunta la straordinaria opportunità d’impianto di cristallini artificiali a tecnologia avanzata, capaci di correggere i difetti di vista e la presbiopia. Questi cristallini artificiali multifocali sono in grado di eliminare i difetti di miopia, ipermetropia e astigmatismo e contestualmente di eliminare le difficoltà di messa a fuoco da vicino correggendo la presbiopia. In pratica, i pazienti operati oggi di cataratta grazie all’impianto di questi cristallini artificiali hanno la possibilità di guidare la macchina, guardare la televisione, usare il computer, usare il telefonino, leggere un libro o il giornale senza ricorrere agli occhiali. Al riguardo va evidenziato che dal 1965 (Decreto Ministeriale 5 novembre 1965 pubblicato in GU n° 44 del 19.2.1966) i vizi di rifrazione o ametropie (difetti di vista) sono stati riconosciuti quali malattie sociali insieme ai tumori, alle malattie reumatiche, alle malattie cardiovascolari, agli stati disendocrini e dismetabolici, alle microcitemie, al morbo di Cooley, alle tossicosi da stupefacenti e da sostanze psicoattive. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera i difetti di vista la causa principale di ipovisione e cecità. Nel 2019 OMS ha evidenziato che 2,2 miliardi di persone presentano penalizzazione della vista: 123 milioni a causa dei difetti di vista, 826 milioni a causa della presbiopia, 65 milioni per la cataratta e 7 milioni per il glaucoma. Risulta pertanto anacronistico ed errato continuare a considerare la correzione dei difetti di vista con l’impianto di cristallini artificiali a tecnologia avanzata in concomitanza dell’intervento di cataratta come un trattamento a scopo estetico, non previsto dai LEA e dal Sistema Sanitario Nazionale. Questa antiquata interpretazione viene strumentalizzata anche dalle Compagnie Assicurative che rigettano la richiesta di rimborso per l’intervento di cataratta con impianto di cristallini artificiali a tecnologia avanzata capaci di eliminare i difetti di vista considerandola erroneamente un intervento a scopo estetico non funzionale e quindi non coperti dal contratto assicurativo.

A prescindere dalle succitate premesse, va evidenziato che ad oggi, nel nostro Sistema Sanitario Nazionale, le tecnologie digitali sono adottate solamente per il 4% del necessario, a differenza di quanto accade negli altri Paesi. Questa carenza di modelli tecnico-organizzativi sviluppatisi negli ultimi 20 anni nella chirurgia della cataratta, che è e resta un intervento di chirurgia oculare maggiore ad alta complessità, comporta il permanere di alte percentuali di complicazioni invalidanti, con elevati rischi di perdita della funzione visiva.  Ciò malgrado, oggi in Italia la chirurgia della cataratta, in carenza di adeguate informazioni, viene percepita a livello legislativo, giudiziario, burocratico amministrativo e mediatico come un intervento semplice, privo di complicazioni e con risultati funzionali miracolosi. Ne consegue che qualsiasi trattamento che abbia un risultato inferiore all’eccellenza o complicazioni di qualsiasi natura comporta accuse alla professionalità e competenza del chirurgo o alla insufficienza del modello organizzativo della struttura erogante la cura, con pesanti richieste risarcitorie.

 

I motivi della scarsa adozione nel nostro Paese delle evoluzioni tecniche e tecnologiche per la chirurgia della cataratta.

Il rimborso previsto per la chirurgia della cataratta, a partire dall’anno 2000, per motivi meramente economici, è stato progressivamente ridotto del 75%, passando da 2.500 euro a meno di 700 euro complessivi per singolo intervento. Nei nuovi tariffari ambulatoriali è prevista un’ulteriore decurtazione del 20%. In Germania i Centri Chirurgici Oculistici eseguono normalmente l’intervento di chirurgia refrattiva della cataratta ad un costo di 4.500 euro per ogni occhio con 2.000 euro a carico del paziente come compartecipazione alla spesa. 

I tagli di spesa attuati hanno avuto effetti ancora più penalizzanti sull’adozione delle nuove tecnologie e sull’aggiornamento del modello organizzativo della chirurgia della cataratta, considerato che le moderne tecnologie richiederebbero aumenti di spesa del 300% a livello globale.

Numeri matematicamente inconciliabili con l’obiettivo del raggiungimento dell’erogazione della miglior cura nella chirurgia della cataratta, oggi, di fatto, non erogata nel SSN ma solo a livello privato a pagamento da parte del cittadino provvisto o meno di assicurazione. 

 

In sintesi

  • I cristallini artificiali a tecnologia avanzata oggi disponibili permettono durante l’intervento di cataratta di correggere i difetti di vista (miopia, ipermetropia, astigmatismo) e anche la presbiopia. In questo modo con un singolo consolidato intervento si rimuove la cataratta e contemporaneamente si permette al paziente di guidare la macchina, guardare la televisione, usare il computer, leggere il telefonino o un libro senza dover ricorrere all’uso degli occhiali.
  • Nel 2019 in Italia sono stati effettuati 650.000 interventi di cataratta. Il 97% degli interventi sono stati erogati in modello organizzativo ambulatoriale. L’83% degli interventi è stato eseguito attraverso il SSN. Il 17% è stato eseguito a pagamento da parte del cittadino provvisto o meno di assicurazione.
  • Solo il 4% della tecnologia digitale necessaria è presente a livello di SSN. Dei 650.000 interventi di cataratta eseguiti nel 2019 solo nell’1% dei casi sono stati impiantati cristallini artificiali a tecnologia avanzata in grado di correggere i difetti di vista: nessuno, per motivi economici organizzativi, nel SSN. Questo pone l’Italia proporzionalmente all’ultimo posto in Europa riguardo l’applicazione delle tecnologie avanzate nell’esecuzione dell’intervento di cataratta.

Le proposte

SOI da 15 anni sostiene a livello tecnico-scientifico la necessità di implementare di 1.000 euro i rimborsi oggi applicati alla chirurgia della cataratta, riportandoli alla somma complessiva di 1.700 euro. Parallelamente si ritiene indispensabile incrementare le conoscenze sulle caratteristiche e sulle effettive potenzialità dei cristallini artificiali da parte di ogni centro chirurgico che effettua la chirurgia della cataratta, in modo da riuscire ad ottenere in seguito all’intervento la totale eliminazione dei difetti di vista, così evitando la presenza di difetti residui in almeno il 70% degli occhi operati che vanificano gli effetti migliorativi di questa tecnologia avanzata. Ciò comporta importanti cambiamenti organizzativi nella fase degli accertamenti preoperatori, con una dilazione delle tempistiche dovuta alla necessaria adozione di sistemi diagnostici digitali dal costo elevato e dall’adozione in sala operatoria delle tecnologie chirurgiche digitali quali ad esempio sistemi laser robotici, microscopi tridimensionali con apparati per la verifica intraoperatoria del potere e della centratura dei cristallini artificiali. È inoltre necessario prevedere la formazione e l’aggiornamento di due generazioni di chirurghi che non hanno esperienza in merito all’evoluzione tecnologica e organizzativa degli ultimi 20 anni. Proprio in merito alla formazione, un ulteriore problema è rappresentato dall’attuale criticità organizzativa esistente in ambito universitario dove la stragrande maggioranza dei direttori di clinica non possiede esperienza chirurgica di rilievo, pur avendo la responsabilità di formare i nuovi chirurghi e di dover scegliere le migliori tecnologie.

In questo contesto appare assurdo che una Regione come la Lombardia, teoricamente tra le migliori espressioni del nostro Ssn, abbia messo in atto una normativa che oggi impedisce l’effettuazione della chirurgia della cataratta con modello organizzativo ambulatoriale, ignara del fatto che i dati del Ministero della Salute evidenziano che nel nostro Paese ben il 97% degli interventi di cataratta viene eseguito con tale modello organizzativo, esattamente come accade in tutto il resto del mondo.

In generale, nel settore oftalmologico, va considerato che la situazione è aggravata dal fatto che a causa della pandemia Covid-19 gli interventi di cataratta hanno subito un taglio del 50%, così come le visite medico specialistiche oculistiche.

Infine, un ulteriore punto dequalificante deriva dai crescenti tentativi di eliminare, per incompetenza, ignoranza o contenimento dei costi, l’assistenza anestesiologica durante l’intervento di cataratta. Tale sorprendente azione, ancora una volta deliberata, contro ogni razionalità, buon senso e linee guida, dalla Regione Lombardia, comporta una grave riduzione della sicurezza del paziente e del controllo intraoperatorio dell’intervento che causa un aumento delle complicazioni che possono causare la perdita della vista.

Per completezza di informazione e a sostegno della necessità di superare questa grave penalizzazione nell’assistenza dei pazienti che si sottopongono a intervento di cataratta riportiamo di seguito alcune delle indicazioni presenti nelle Linee Guida Internazionali della Società Oftalmologica Italiana.    

 

Tecniche chirurgiche della cataratta e del cristallino dal 1967 al 2022: adeguamento dell’assistenza anestesiologica

La chirurgia della cataratta è un intervento di chirurgia oculare maggiore, ad alta complessità e alta percentuale di complicazioni invalidanti, con elevati rischi di perdita della funzione visiva ma, a torto, è percepita a livello legislativo, giudiziario, burocratico amministrativo e mediatico come un intervento semplice, privo di complicazioni e con risultati funzionali miracolosi.

L’assistenza anestesiologica si è evoluta e adeguata nel tempo, in conseguenza della rivoluzione chirurgica in atto.

Anestesia Generale

Tecnica anestesiologica di riferimento nella chirurgia della cataratta fino al 1985. I dati del Ministero della Salute riferiti ai 650.000 interventi di cataratta effettuati nel 2019 dimostrano l’applicazione del modello organizzativo ambulatoriale nel 97% degli interventi di cataratta. Il residuo 3% è stato trattato o con modello organizzativo di day-surgery o di ricovero ordinario. L’anestesia generale è incompatibile col modello organizzativo ambulatoriale o di day-surgery e dai dati in possesso di SOI viene applicata nel 1% degli interventi di cataratta. L’anestesia generale oggi rimane principalmente utilizzata in età pediatrica. SOI evidenzia che ogni anno in Italia nascono solo 100 bambini con cataratta congenita. L’anestesia generale per la chirurgia della cataratta è stata abbandonata per le frequenti complicazioni cerebrovascolari caratteristiche di pazienti molto anziani portatori di diverse gravi comorbilità, complicazioni dovute in parte all’inadeguatezza dei farmaci anestesiologici disponibili in quei tempi. Inoltre, in anestesia generale per ottenere un corretto posizionamento dell’occhio è necessario applicare punti di trazione a livello dei muscoli oculari con possibili ematomi sottocongiuntivali, perforazioni della sclera e ptosi palpebrale postoperatoria. Si evidenza che tutte queste manovre possono causare l’attivazione del riflesso oculo-cardiaco, con possibile arresto cardiaco.  

Anestesia locale retrobulbare, peribulbare, sottotenoniana

Sono anestesie somministrate con modalità infiltrativa per mezzo di un ago che nelle retrobulbari può raggiungere la lunghezza di 8 centimetri. È un’anestesia che ha ampliato l’accesso alla chirurgia della cataratta da parte di un numero sempre maggiore di pazienti e presenta le specifiche negatività caratteristiche delle anestesie con ago applicate localmente in prossimità del bulbo oculare: perforazione del bulbo, danneggiamento della muscolatura oculare estrinseca, ptosi palpebrale, rottura della sclera, danneggiamento del nervo ottico, iniezione di anestetico in cavità intracranica, emorragie retrobulbari e parabulbari, proptosi del bulbo oculare con otticopatia, mancanza di effetto anestesiologico. È un’anestesia locale non di superficie perché raggiunge i tessuti profondi, di durata proporzionata all’efficacia del farmaco, necessita di un tempo d’induzione di 15 minuti prima di iniziare l’intervento. L’anestesia retrobulbare, peribulbare e sottotenoniana procurano una paralisi dei 6 muscoli oculari, impedendo ogni movimento del bulbo oculare e ogni possibilità di chiusura o contrazione volontaria delle palpebre, situazione che permette un buon controllo della procedura chirurgica, della pressione intraoculare, realizzando le condizioni all’effettuazione di un adeguato controllo dell’intervento chirurgico. Nella chirurgia della cataratta è necessario ottenere la non reattività da parte del paziente nei confronti dell’abbagliamento dovuto alla luce insopportabile del microscopio operatorio. In Italia l’effettuazione dell’anestesia locale è compito specifico del medico anestesista specialista come per l’anestesia generale. L’anestesia locale praticata dal medico oculista equivale alla prescrizione e somministrazione di un farmaco in modalità off-label di cui il medico si assume integralmente la responsabilità. L’anestesia locale retrobulbare e peribulbare è divenuta la tecnica anestesiologica maggiormente utilizzata dalla fine degli anni 80. 

Anestesia topica

La peculiarità dell’anestesia topica è di essere applicata con l’instillazione ripetuta di alcune gocce di collirio anestetico monodose. È un’anestesia priva degli effetti collaterali e delle complicazioni proprie delle tecniche anestesiologiche infiltrative con ago applicate negli interventi di cataratta.

Questa anestesia di superficie non anestetizza i tessuti endoculari (iride, zonula, corpo ciliare) e non paralizza la muscolatura oculare e palpebrale.

Questa situazione lascia al paziente la possibilità di muovere l’occhio durante l’intervento involontariamente o volontariamente così come la possibilità di tentare di chiudere le palpebre e di avere reazioni istintive di protezione - fenomeno di Bell - alla luce del microscopio operatorio e alle manovre di contatto con l’occhio. Le situazioni descritte possono causare un incontrollabile aumento della pressione intraoculare, causa di gravi complicanze.

In presenza di un fenomeno di Bell non controllabile è controindicato l’utilizzo dell’anestesia topica per l’aumento esponenziale delle complicanze intraoperatorie a carico del paziente con rischio di perdita della vista.

Per questi motivi l’anestesia topica non è da sola sufficiente a produrre la necessaria analgesia per permettere al paziente di sottoporsi all’intervento in condizioni di sicurezza. Questo obbliga ad attuare da parte del medico anestesista per via endovenosa una sedazione non profonda con farmaci di competenza anestesiologica.

In Italia l’anestesia topica è stata introdotta nel 1993 e si è diffusa nei primi anni 2000. Ancora oggi non è la tecnica anestesiologica maggiormente utilizzata nella chirurgia della cataratta. Invece, risulta essere la tecnica di riferimento nella chirurgia rifrattiva della cataratta e del cristallino con l’applicazione delle tecnologie digitali per la miglior centratura e valutazione intraoperatoria del corretto potere del cristallino artificiale e dell’asse visivo, misurazioni ottenibili unicamente con la collaborazione del paziente in assenza di paralisi dei muscoli oculari.

La responsabilità di presa in carico del paziente da parte del medico anestesista nella chirurgia rifrattiva della cataratta e del cristallino

In Italia, a tutela della sicurezza dei pazienti, l’attività di medico anestesista è consentita al solo medico anestesista in possesso dello specifico diploma universitario di specializzazione così come avviene per i medici radiologi e per i medici di medicina del lavoro. Quindi non è consentito al medico oculista, capo equipe chirurgica, di gestire il paziente sul piano anestesiologico e di sconfinare nelle competenze riservate per Legge al medico anestesista. Durante l’intervento di chirurgia rifrattiva della cataratta e del cristallino il chirurgo deve rimanere totalmente concentrato nello svolgimento della chirurgia e non può essere in grado di controllare le condizioni del paziente o attivare alcuna terapia di gestione delle complicanze. La responsabilità del medico anestesista specialista dipende dall’azione di presa in carico del paziente da sottoporre a chirurgia rifrattiva della cataratta e del cristallino. L’azione di presa in carico del paziente consiste in una valutazione preoperatoria (anche in contiguità all’esecuzione dell’intervento chirurgico se presenti gli esami preoperatori) delle condizioni del paziente con particolare riferimento alle patologie e terapie in atto e all’operatività d’intervento in caso di evento avverso intraoperatorio. In mancanza di tale procedura la responsabilità del medico anestesista risulta equivalente a un intervento estemporaneo di assistenza d’urgenza per un incidente stradale privo di qualunque dato clinico o strumentazione e terapia adeguata. Questo modo di procedere è totalmente penalizzante per la sicurezza del paziente e del suo diritto di accesso alle cure migliori.

 

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